https://youtu.be/EAYsyNC20Hw
La comunicazione del Benessere
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CERVELLI che interagiscono
Se, camminando per l’American Museum of Natural History di New York, ci imbattessimo nella teca contenente il cranio di un homo sapiens, la prima cosa che potremmo osservare sarebbero le analogie con il cranio di uno scimpanzé moderno a dimostrazione dei nostri comuni antenati. Quello che non noteremmo, però, sarebbero le differenze a livello cerebrale. La nostra densità sinaptica (indicatore della quantità di collegamenti neurali), infatti, è estremamente superiore a quella dei nostri “colleghi” primati. Nell’avventura evolutiva il distacco definitivo dagli altri mammiferi1 si è verificato in seguito all’espansione di ciò che viene definito neocorteccia, in particolare dei lobi frontali, sede delle più complesse attività cognitive (figura in basso).
Questa espansione ha consentito la comparsa di facoltà fondamentali come il linguaggio verbale, caratteristica unica degli esseri umani, che è andato ad appoggiarsi sulle più antiche capacità non verbali già presenti nei primati.
La nostra specie si è evoluta ed ha popolato un mondo composto principalmente da altri esseri umani rendendo di fondamentale importanza l’interazione sociale. La comunicazione verbale (e non) ha rappresentato, quindi, la base per le battute di caccia, la creazione di alleanze e lo scambio reciproco di conoscenze fondamentali per lo sviluppo della società.
Prima ancora di parlare di induzione ipnotica, è quindi opportuno considerare che nella vita di tutti i giorni siamo in grado di modificare i nostri stati mentali in base a ciò che ci viene detto dalle altre persone ed, a nostra volta, di modificare gli stati mentali altrui. Da questo punto di vista l’ipnosi naturale descritta da M. Erickson si presenta come una diretta appendice funzionale del linguaggio stesso.
Il cervello allo specchio
La scoperta dei neuroni specchio ha ulteriormente avvalorato questa idea. Attraverso studi condotti prima sulle scimmie e poi sull’uomo è stato possibile mostrare come nelle aree cerebrali frontali determinati neuroni motori (che si attivano, dunque, durante l’esecuzione di un movimento) reagiscano anche alla visione di un atto motorio compiuto da un altro essere umano. Non solo. Alcuni di questi neuroni, nell’osservatore, si attivano semplicemente quando è stata riconosciuta l’intenzione di movimento del soggetto osservato: per esempio quando, guardando una tavola da sparecchiare, scorgo una mano in corrispondenza delle vettovaglie ed ipotizzo, senza bisogno di esserne consapevole, il movimento che verrà effettuato. Dopo successivi studi è stato possibile identificare varie aree, nel cervello umano, che fanno parte del “circuito specchio” (figura in basso).
ll sistema specchio nell’uomo.
In verde le aree prefrontali coinvolte, in giallo le aree parietali ed in rosso il solco temporale superiore.
Oltre a rappresentare un’interessante chiave di lettura per lo sviluppo del linguaggio, questa nuova definizione di neuroni specchio ha riportato in auge il concetto di empatia. La comprensione delle emozioni altrui potrebbe, infatti, essere spiegata attraverso un meccanismo neurale di questo genere che ne renderebbe la decodifica istantanea, senza alcuna produzione di uno sforzo cognitivo.
Data questa capacità cerebrale innata di decodificare gli stati mentali altrui e di influenzarli attraverso il linguaggio e le espressioni, sorge spontaneo chiedersi quanto sia vasta la nostra sfera di influenza. Probabilmente la risposta è: dipende dal contesto. Sarebbe infatti impensabile dire ad un bimbo appena caduto “smetti di provare dolore” aspettandosi di sedare tutte le sue lacrime all’istante. Già negli anni quaranta era stato osservato che i soldati, durante la seconda guerra mondiale, riuscivano a percorrere lunghi tratti sotto il costante pericolo del fuoco nemico, pur presentando gravi ferite. L’ambiente di guerra faceva dimenticare al loro cervello il dolore fisico, attivando alcuni circuiti oppioidi endogeni (deputati alla modulazione del dolore) per preservare un bene più prezioso, la loro stessa vita. Anche senza guardare a situazioni così estreme si possono trovare in letteratura esempi eclatanti in cui il semplice contesto ha influenzato l’outcome di una terapia in atto7. Il contesto fondamentale che possiamo ritrovare in ambito terapeutico è rappresentato dalla relazione tra il terapeuta stesso (sia esso medico, fisioterapista o psicologo) ed il paziente.
L’induzione ipnotica ed il cervello
L’ipnosi, come strumento utilizzato nella relazione terapeutica, è stata esplorata fin dai primi anni sessanta attraverso studi elettroencefalografici (EEG). L’EEG è una tecnica di registrazione non invasiva dell’attività elettrica extracorticale spontanea. Guardando i principali ritmi cerebrali (figura in basso), rappresentati dalle onde alfa, beta, teta e delta, l’ipnosi ha potuto emanciparsi dalla definizione di semplice condizione simile al sonno.
I principali tipi di onde cerebrali del ritmo sonno-veglia.
È stato infatti possibile ritrovare alcuni possibili marcatori dello stato ipnotico in alcuni particolari gruppi di onde non presenti durante il sonno profondo. Ad esempio, già da molti anni è stata confermata una correlazione tra la maggiore presenza di onde alfa in entrambi gli emisferi e la tendenza alla suggestionabilità, indicando come questo ritmo possa essere una impronta dello stile cognitivo delle persone abili nell’avere esperienze ipnotiche. Un dato interessante presente in letteratura dimostra che la regione parieto-temporale destra dei soggetti più suggestionabili presenta una maggiore attività elettrica rispetto alla sinistra,al contrario dei soggetti meno suggestionabili. Utilizzando, però, un’induzione ipnotica indiretta (di stampo ericksoniano) la stessa preponderanza destra nel segnale elettrico può essere registrata nei soggetti a bassa suscettibilità mostrando una fondamentale importanza dell’area associativa parieto-temporale nell’induzione ipnotica.
Gli studi più recenti sui correlati neuroanatomici dell’ipnosi provengono dalle tecniche di imaging cerebrale moderne basate sul flusso sanguigno (fMRI – Risonanza Magnetica Funzionale –, e PET – Tomografia ad emissione di Positroni – ). L’idea alla base di queste tecniche è che le aree più attive riceveranno un maggiore afflusso di sangue e verranno così visualizzate. In un recente esperimento è stato mostrato come sia possibile modulare il dolore grazie all’ipnosi in pazienti affetti da fibromialgia. I risultati hanno mostrato come, in seguito a suggestioni ipnotiche di analgesia, una riduzione soggettiva di dolore sia stata accompagnata da attivazioni cerebrali elevate a livello di diverse aree tra cui corteccia cingolata anteriore, dell’insula anteriore e posteriore, del cervelletto e della corteccia parietale inferiore (immagine in basso). Ulteriori studi hanno posto l’importanza, durante la suggestione ipnotica, del corpo calloso, ovvero la principale struttura cerebrale responsabile dello scambio di informazioni inter-emisferico. La parte rostrale, anteriore, del corpo calloso infatti è deputata alla connessione tra le cortecce prefrontali di entrambi gli emisferi. Queste aree sono generalmente coinvolte nello spostamento dell’attenzione, avvalorando l’ipotesi che lo stato ipnotico sia concepibile come una modificazione transitoria della capacità attentiva del soggetto (spostamento dall’esterno all’interno).
https://www.ericksoninstitute.it/it/609/consulenza-e-terapia/ipnosi-e-neuroscienze/
L’ipnosi è la forma più antica di psicoterapia Olistica praticata nel mondo occidentale soprattutto dai Terapisti naturopati; eppure, nonostante la sua potenza di sintesi dinamica possieda radici profonde..nelle convizioni comuni é ancora bistrattata, banalizzata e infarcita di pregiudizi..eppure Freud la esercitava regolarmente e con successo
Per domande, curiosità e informazioni: Sebastiano Riccobono / mail: sebastiano.riccobono@gmail.com